Tuesday, 13 February 2024

One Poem by Bruce Hunter - Translation by Andrea Sirotti

 


 





Galestro

 

This spring in Tuscany

on the strade bianche,

up the white road we drive

a cart track, beside a low stone wall.

 

Stacked cords of olive wood

beside groves of recently thinned trees.

Work I did as a younger man.

Fuel trucked Saturday to the boats

for Sardinia we’re told. Nothing wasted here.

All the beautiful old wood.

 

There’s an ancient dusty river below

the valley where the small hilltop castle watches over 

distant slopes stitched with vines.

Nearby mountains shudder

behind September’s sunset hills –

le colline al tramonto. The colour of pumpkins.

 

Under the piazza’s pollarded old oaks,

after them the Castello is named, La Leccia.

Francesco says to us at breakfast, “there is a drought,

over Chianti.”  The vintner with a poet’s sage eyes.

As the blue mist lifts at dawn,

below us bright vines stripe

across the spilled orange marl.

 

All my life, a gardener, wishing I’d been a vine,

Rooted like these, burrowing, he tells us,

10 meters to the artesian streams

that feed that river beside the 12th century mill.

 

When we tour his lands,

I squat between the vines,

trained long ago by the old Italian gardeners.

Toeing aside chunks of roccia friabile,

as I put galestro’s grey grit, calcite and mudstone,

the gist, the schist of wine to my tongue.

 

My fingers chalked with millennia, fossil salts,

and the midnight gust that condenses the valley’s mist.

The gunpowder dust of old rivers,

raw earth and my wife when she’s loved.

I mix my spit in the soil, clump it

before I place it back amongst the stones.

 

I learned to read soil in my apprenticeship,

and sky and wind, on the highest point of land,

where rain is made, and wine,

somewhere between alchemy and prayer, 

reverence and ritual, Francesco knows this too,

it shows in the deft flash of his hands

that lift the grapes.

 

If a gardener loves the earth, the leaves,

the vintner loves the vine, the grapes.

“Sangiovese,” Francesco says.

“Blood of Jove?” I ask.

“Of course,” he nods. Famous old vines.

 

Of which the Italian gardeners spoke,

long ago  in my cold country,

in a language I’d yet to learn.

Storied place I longed all my life to visit.

The Romans stored their wine in caves

anthe Etruscans too, their ruined tombs behind us.

The ancient is recent here and all around us.

 

Francesco speaks of his Classico

and Bruciagna. “A good name that, I say.

My wife laughs at my lame joke. Francesco hands us grapes.

We roll them between our fingers as he shows us,

until a blood-bright droplet appears.

 

He raises a silent toast, tastes the purple flesh.

My wife kisses the ripe juice from hers,

hands it to me and laughs again.

Drinking Chianti from the vine, sun’s sugar.

 

“We are careful not to crush them,”

Francesco says before he chews.

“It tears the skin and spoils the wine.

A few more days, it will be ready,” he turns to his Jeep.

 

And the leaves reach after him in their thirst.

Shale crackles under my feet.

Or maybe it’s the riprap of an ancient river.

Sensitivo, they call the ones who know the rain

long before scant clouds leave the mountains.

Sensitivi, the plural of the souls

that find water, make wine and poetry..

 

Sensitiva, the woman who teaches the heart,

who reads my eyes, who calms the animals, heals the beloved.

So many here, in questo paese appassionato

– in this passionate country,

reaching for a deep river coursing through us.


“Honey, hurry,” my wife points to the clouds.

“It’s getting windy.”

Oh, how I love my wife, la sensitiva.

as Francesco loves his vines.

And I have found a name for us, and a river.




Bruce Hunter is writer of poetry, essays and stories published internationally. Galestro is his 10th book. His novel In the Bear’s House, translated as Nella Casa dell’orso will be published 2025.

Galestro is the term given to the schist or gritty soil in Tuscany that give Chianti wines their unique flavour.

Galestro by Bruce Hunter, the title poem for his latest  bilingual collection translated by Andrea Sirotti, and published in 2023 by iQdB  edizoni, Lecce, Italy.

 

Andrea Sirotti is a teacher, writer and translator from Florence, Italy. His revised and expanded translation of Emily Dickinson’s “My Letter to the World” was just published by Interno Poesia.

 

Galestro 

translated by Andrea Sirotti

 

Questa primavera in Toscana

sulle strade bianche,

su quella strada bianca che percorriamo

un viottolo di campagna, accanto a un muretto di pietra.

 

Cordoni di legno d’ulivo impilati

accanto a boschetti d’alberi potati di fresco.

Un lavoro che facevo da giovane.

Combustibile trasportato sabato alle navi

per la Sardegna, ci dicono. Niente va sprecato qui.

Tutto il bellissimo legno vecchio.

 

C’è un antico fiume polveroso ai nostri piedi

la valle dove il piccolo castello sul colle veglia su

distanti pendii cuciti con le viti.

Le montagne vicine tremano

dietro le colline al tramonto settembrino –

le colline al tramonto. Del colore delle zucche.

 

Sotto le vecchie querce impollinate della piazza,

da loro il Castello prende il nome, La Leccia.

Francesco ci dice a colazione: “c’è la siccità,

su tutto il Chianti”. Il vignaiolo con gli occhi saggi di un poeta.

Quando la nebbia azzurra si alza all’alba,

sotto di noi viti luminose si estendono

attraverso la traboccante marna arancione.

 

Per tutta la vita giardiniere, vorrei essere una vite,

radicata come queste, che s’incunea, ci dice,

a dieci metri dalle correnti artesiane

che alimentano il fiume accanto al mulino del XII secolo.

 

Quando giriamo per le sue terre,

mi accovaccio in mezzo ai tralci,

addestrati molto tempo fa dai vecchi giardinieri italiani.

Spostando col piede pezzi di roccia friabile,

come metto la grana grigia, la calcite e l’arenaria di Galestro,

la sostanza, lo scisto del vino sulla lingua.

 

Le mie dita gessate dai millenni, sali fossili,

e il vento di mezzanotte che condensa la nebbia della valle.

La polvere da sparo dei vecchi fiumi,

terra cruda e mia moglie quando è amata.

Mescolo la saliva nel terreno, la agglutino

prima di rimetterla a posto tra le pietre.

 

Ho imparato a leggere il terreno da apprendista,

e il cielo e il vento, sul punto più alto di terra,

dove si fa la pioggia, e il vino,

qualcosa in mezzo tra alchimia e preghiera,

reverenza e rituale, Francesco sa anche questo,

si vede nell’abile lampo delle sue mani

che alzano i grappoli.

 

Se un giardiniere ama la terra, le foglie,

il viticoltore ama la vite, l’uva.

“Sangiovese”, dice Francesco.

“Sangue di Giove?” chiedo.

“Ovvio”, ammicca. Vecchi vitigni famosi.

 

Di cui parlavano i giardinieri italiani,

molto tempo fa nel mio paese freddo,

in una lingua che dovevo ancora imparare.

Luoghi storici che per tutta la vita ho desiderato visitare.

I romani conservavano il loro vino nelle grotte

e pure gli etruschi, le loro tombe in rovina dietro di noi.

L’antico è recente qui e intorno a noi.

 

Francesco parla del suo Classico

e di Bruciagna. “Che bel nome”, dico.

Mia moglie ride per la battuta scema. Francesco ci porge i chicchi.

Li arrotoliamo tra le dita come ci indica lui,

finché non appare una goccia brillante di sangue.

 

Fa un brindisi silente, assaggia la polpa purpurea.

Mia moglie bacia il succo maturo della sua,

me lo porge e ride ancora.

Bere Chianti dalla vigna, zucchero del sole.

 

“Stiamo attenti a non schiacciarli”,

dice Francesco prima di masticare.

“Strappa la pelle e rovina il vino.

Ancora qualche giorno e sarà pronto”, si volge alla sua Jeep.

 

E le foglie assetate lo inseguono.

Lo scisto mi crepita sotto i piedi.

O forse sono i detriti di un antico fiume.

Sensitivo, chiamano quelli che sanno la pioggia

molto prima che scarse nubi lascino le montagne.

Sensitivi, il plurale delle anime

che trovano l’acqua, fanno il vino e la poesia.

 

Sensitiva, la donna che insegna al cuore,

che mi legge gli occhi, che calma gli animali, guarisce gli amati.

Tantissimi qui, in questo paese appassionato

raggiungendo un fiume profondo che ci scorre dentro.

 

“Tesoro, sbrigati”, mia moglie indica le nuvole.

“Si è alzato il vento”.

Oh, quanto amo mia moglie, la sensitiva.

come Francesco ama le sue viti.

E ho trovato un nome per noi, e un fiume.

 


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