Galestro
This spring in Tuscany
on the strade bianche,
up the white road we drive
a cart track, beside a low stone wall.
Stacked cords of olive wood
beside groves of recently thinned trees.
Work I did as a younger man.
Fuel trucked Saturday to the boats
for Sardinia we’re told. Nothing wasted here.
All the beautiful old wood.
There’s an ancient dusty river below
the valley where the small hilltop castle watches over
distant slopes stitched with vines.
Nearby mountains shudder
behind September’s sunset hills –
le colline al tramonto. The colour of pumpkins.
Under the piazza’s pollarded old oaks,
after them the Castello is named, La Leccia.
Francesco says to us at breakfast, “there is a drought,
over Chianti.” The vintner with a poet’s sage eyes.
As the blue mist lifts at dawn,
below us bright vines stripe
across the spilled orange marl.
All my life, a gardener, wishing I’d been a vine,
Rooted like these, burrowing, he tells us,
10 meters to the artesian streams
that feed that river beside the 12th century mill.
When we tour his lands,
I squat between the vines,
trained long ago by the old Italian gardeners.
Toeing aside chunks of roccia friabile,
as I put galestro’s grey grit, calcite and mudstone,
the gist, the schist of wine to my tongue.
My fingers chalked with millennia, fossil salts,
and the midnight gust that condenses the valley’s mist.
The gunpowder dust of old rivers,
raw earth and my wife when she’s loved.
I mix my spit in the soil, clump it
before I place it back amongst the stones.
I learned to read soil in my apprenticeship,
and sky and wind, on the highest point of land,
where rain is made, and wine,
somewhere between alchemy and prayer,
reverence and ritual, Francesco knows this too,
it shows in the deft flash of his hands
that lift the grapes.
If a gardener loves the earth, the leaves,
the vintner loves the vine, the grapes.
“Sangiovese,” Francesco says.
“Blood of Jove?” I ask.
“Of course,” he nods. Famous old vines.
Of which the Italian gardeners spoke,
long ago in my cold country,
in a language I’d yet to learn.
Storied place I longed all my life to visit.
The Romans stored their wine in caves
and the Etruscans too, their ruined tombs behind us.
The ancient is recent here and all around us.
Francesco speaks of his Classico
and Bruciagna. “A good name that,” I say.
My wife laughs at my lame joke. Francesco hands us grapes.
We roll them between our fingers as he shows us,
until a blood-bright droplet appears.
He raises a silent toast, tastes the purple flesh.
My wife kisses the ripe juice from hers,
hands it to me and laughs again.
Drinking Chianti from the vine, sun’s sugar.
“We are careful not to crush them,”
Francesco says before he chews.
“It tears the skin and spoils the wine.
A few more days, it will be ready,” he turns to his Jeep.
And the leaves reach after him in their thirst.
Shale crackles under my feet.
Or maybe it’s the riprap of an ancient river.
Sensitivo, they call the ones who know the rain
long before scant clouds leave the mountains.
Sensitivi, the plural of the souls
that find water, make wine and poetry..
Sensitiva, the woman who teaches the heart,
who reads my eyes, who calms the animals, heals the beloved.
So many here, in questo paese appassionato
– in this passionate country,
reaching for a deep river coursing through us.
“Honey, hurry,” my wife points to the clouds.
“It’s getting windy.”
Oh, how I love my wife, la sensitiva.
as Francesco loves his vines.
And I have found a name for us, and a river.
Bruce Hunter is writer of poetry, essays and stories published internationally. Galestro is his 10th book. His novel In the Bear’s House, translated as Nella Casa dell’orso will be published 2025.
Galestro is the term given to the schist or gritty soil in Tuscany that give Chianti wines their unique flavour.
Galestro by Bruce Hunter, the title poem for his latest bilingual collection translated by Andrea Sirotti, and published in 2023 by iQdB edizoni, Lecce, Italy.
Andrea Sirotti is a teacher, writer and translator from Florence, Italy. His revised and expanded translation of Emily Dickinson’s “My Letter to the World” was just published by Interno Poesia.
Galestro
translated by Andrea Sirotti
Questa
primavera in Toscana
sulle strade bianche,
su quella
strada bianca che percorriamo
un viottolo
di campagna, accanto a un muretto di pietra.
Cordoni di
legno d’ulivo impilati
accanto a
boschetti d’alberi potati di fresco.
Un lavoro
che facevo da giovane.
Combustibile
trasportato sabato alle navi
per la
Sardegna, ci dicono. Niente va sprecato qui.
Tutto il
bellissimo legno vecchio.
C’è un
antico fiume polveroso ai nostri piedi
la valle
dove il piccolo castello sul colle veglia su
distanti
pendii cuciti con le viti.
Le montagne
vicine tremano
dietro le
colline al tramonto settembrino –
le colline al tramonto. Del colore delle zucche.
Sotto le
vecchie querce impollinate della piazza,
da loro il
Castello prende il nome, La Leccia.
Francesco
ci dice a colazione: “c’è la siccità,
su tutto il
Chianti”. Il vignaiolo con gli occhi saggi di un poeta.
Quando la
nebbia azzurra si alza all’alba,
sotto di
noi viti luminose si estendono
attraverso
la traboccante marna arancione.
Per tutta
la vita giardiniere, vorrei essere una vite,
radicata
come queste, che s’incunea, ci dice,
a dieci
metri dalle correnti artesiane
che alimentano il fiume accanto al mulino del XII secolo.
Quando giriamo per le sue terre,
mi accovaccio in mezzo ai tralci,
addestrati molto tempo fa dai vecchi giardinieri italiani.
Spostando col piede pezzi di roccia friabile,
come metto la grana grigia, la calcite e l’arenaria di Galestro,
la sostanza, lo scisto del vino sulla lingua.
Le mie dita gessate dai millenni, sali fossili,
e il vento di mezzanotte che condensa la nebbia della valle.
La polvere da sparo dei vecchi fiumi,
terra cruda e mia moglie quando è amata.
Mescolo la saliva nel terreno, la agglutino
prima di rimetterla a posto tra le pietre.
Ho imparato a leggere il terreno da apprendista,
e il cielo e il vento, sul punto più alto di terra,
dove si fa la pioggia, e il vino,
qualcosa in mezzo tra alchimia e preghiera,
reverenza e rituale, Francesco sa anche questo,
si vede nell’abile lampo delle sue mani
che alzano i grappoli.
Se un giardiniere ama la terra, le foglie,
il viticoltore ama la vite, l’uva.
“Sangiovese”, dice Francesco.
“Sangue di Giove?” chiedo.
“Ovvio”, ammicca. Vecchi vitigni famosi.
Di cui parlavano i giardinieri italiani,
molto tempo fa nel mio paese freddo,
in una lingua che dovevo ancora imparare.
Luoghi storici che per tutta la vita ho desiderato visitare.
I romani conservavano il loro vino nelle grotte
e pure gli etruschi, le loro tombe in rovina dietro di noi.
L’antico è recente qui e intorno a noi.
Francesco parla del suo Classico
e di Bruciagna. “Che bel nome”, dico.
Mia moglie ride per la battuta scema. Francesco ci porge i chicchi.
Li arrotoliamo tra le dita come ci indica lui,
finché non appare una goccia brillante di sangue.
Fa un brindisi silente, assaggia la polpa purpurea.
Mia moglie bacia il succo maturo della sua,
me lo porge e ride ancora.
Bere Chianti dalla vigna, zucchero del sole.
“Stiamo attenti a non schiacciarli”,
dice Francesco prima di masticare.
“Strappa la pelle e rovina il vino.
Ancora qualche giorno e sarà pronto”, si volge alla sua Jeep.
E le foglie assetate lo inseguono.
Lo scisto mi crepita sotto i piedi.
O forse sono i detriti di un antico fiume.
Sensitivo, chiamano quelli che sanno la pioggia
molto prima che scarse nubi lascino le montagne.
Sensitivi, il plurale delle anime
che trovano l’acqua, fanno il vino e la poesia.
Sensitiva, la donna che insegna al cuore,
che mi legge gli occhi, che calma gli animali, guarisce gli amati.
Tantissimi qui, in questo paese appassionato
raggiungendo un fiume profondo che ci scorre dentro.
“Tesoro, sbrigati”, mia moglie indica le nuvole.
“Si è alzato il vento”.
Oh, quanto amo mia moglie, la sensitiva.
come Francesco ama le sue viti.
E ho trovato un nome per noi, e un fiume.
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